giovedì 29 dicembre 2011

No agli Stati Uniti d'Europa - le ragioni del dissenso




I cambiamenti tumultuosi generano incertezza e quando le crisi, i sommovimenti, le trepidazioni e le tribolazioni si protraggono a lungo, la popolazione, sfinita, accetta qualunque governo, per quanto dispotico, che prometta stabilità, ordine e fermezza.
È su questo che contano i leader europei.
Io continuo a fare la stessa domanda, senza ottenere una risposta anche vagamente convincente: perché dovremmo ridurci a far nostra un’unica fede (l’europeismo) ed un unico governo (europeo) proprio quando la maggioranza di noi si è resa conto che le organizzazioni politiche centralizzate non funzionano, partoriscono oligarchie, moltiplicano gli sprechi, accrescono le distanze tra elettori ed eletti, sferzano la popolazione con imposizioni tecnocratiche e burocratiche che ignorano le specificità ed esigenze locali? Che genere di comportamento schizofrenico è mai questo? Non è forse evidente a tutti che i paesi meglio organizzati ed amministrati sono piccoli? Guardate le classifiche della qualità della vita e della felicità:
ai primi posti trovate paesi di pochi milioni di abitanti, con pochissime velleità egemoniche, maggiore attenzione alla dignità dei cittadini ed al contenimento delle sperequazioni, una più chiara vocazione meritocratica, ingranaggi amministrativi più efficaci e trasparenti e, più in generale, una democrazia più in salute che altrove. Sono gli stati più grandi ad essere maggiormente afflitti dai “mali della modernità” e sono sempre loro a mettere a repentaglio la pace, la sicurezza, la stabilità economica, la sostenibilità ambientale.
Chi potrebbe essere così stolto da imboccare la strada del gigantismo quando è indiscutibilmente vero che “piccolo è bello” e che una confederazione di staterelli è più adatta a servire le necessità dell’umanità?
Francesi ed Olandesi (e gli Irlandesi) hanno dimostrato una lodevole perspicacia quando hanno rigettato il “Trattato che istituisce la costituzione europea”, una disposizione che sarebbe potuta diventare un cavallo di Troia, il mezzo con cui si potevano indebolire prima ed annientare poi le meravigliose costituzioni dei singoli stati ed in questo modo le libertà dei popoli. Ugualmente degna di encomio è stata la decisione della corte costituzionale tedesca di rintuzzare i tentativi del governo tedesco di mettere in discussione la sovranità della propria nazione.
Sfido chiunque a dimostrare, dati alla mano, che sia falso che gli stati più piccoli sono più trasparenti, meglio amministrati, più equilibrati, più pacifici, più in linea con le aspettative dei cittadini e che più grandi sono gli stati, peggio sono governati.
L’evidenza dei fatti è lì a comprovare che in un grande stato si sacrifica l’obiettivo di contenere le disuguaglianze sociali, a partire dai privilegi accordati alla capitale rispetto alle province. Inoltre l’uniformità amministrativa riduce, iniquamente, la diversità interna. Un popolo maturo non si affiderà mai agli arbitri del governo nella speranza che chi comanda sia saggio e virtuoso: inutile illudersi, lusingare ed ingannare se stessi con la convinzione che i propri governanti saranno sempre probi. Bisogna sperare per il meglio e prepararsi al peggio. Chi esercita l’autorità tende ad usare tutto il potere che viene messo a sua disposizione e, se possibile, ad espanderlo e perciò è assennato evitare di attribuirgliene troppo, come invece avviene nelle grandi potenze.
Al contrario, nelle piccole repubbliche i cittadini rispettano più volentieri la legge, si sentono più legati allo stato, pagano più volentieri (o comunque meno malvolentieri) le tasse. Sentono di avere un maggior controllo sulle dinamiche della nazione in cui vivono Perciò i governi delle piccole repubbliche si comportano più responsabilmente. La conoscenza diretta o semi-diretta dei governanti spinge le persone ad obbedire volontariamente, senza essere costretti a farlo. Una piccola repubblica diventa quindi una scuola di cittadinanza e di pace, perché la guerra viene concepita solo nel senso di una legittima difesa, mai come strumento di aggressione e di conseguenza la cittadinanza si dimostra consapevole del fatto che è una maledizione per qualunque popolo, in quanto distrugge quanto di meglio c’è in una società, a partire dalla compassione, il fondamento dell’etica, moltiplicando i peggiori vizi umani. Una piccola repubblica, tenendo a distanza la guerra quanto più è possibile, rende un servigio all’intera umanità.
Chi accetta questa realtà dovrebbe aderire ad un progetto confederalista [http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/f/f024.htm] e mostrarsi scettico nei confronti di ogni progetto di accentramento del potere.

Ecco una sintesi ideale delle tesi dei confederalisti europei, ossia quelli che criticano le spinte verso una maggiore integrazione politica:

  • L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità se i politici prestassero più ascolto all’elettorato che alle sirene dell’alta finanza;
  • l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale. Insomma, un’Europa delle comunità e dei popoli, non dei tecnocrati;
  • le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  • non si attua una radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  • è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state sufficienti?
  • quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente);
  • più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  • l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  • un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Volete che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  • in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) potrebbe permettersi un massimo di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Si tutelerebbe dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  • in una confederazione non ci sarebbe alcun rischio di una burocrazia federale ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea;
  • in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici, per evitare che qualcuno si  “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  • si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  • una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo.

Tesi degli unionisti, ossia quelli che spingono per una maggiore integrazione politica europea:

La situazione è drammatica. Siamo sull’orlo della bancarotta e dell’anarchia a causa di un governo europeo impotente:
"Mai il rischio di un'esplosione dell'Europa è stato così grande" (Sarkozy)
"La situazione è grave, l'euro può esplodere e l'Europa disfarsi. Sarebbe una catastrofe non solo per l'Europa e la Francia, ma per il mondo" (Jean Leonetti, ministro francese degli Affari Europei)
“Non si tratta di un dare e di un avere ci sono dei punti deboli nella costruzione dell’Eurozona, non abbiamo una Unione politica e questi punti deboli devono essere superati” (Angela Merkel).
Un governo centrale forte può promuovere la crescita del commercio e dell’economia in genere, ha maggiori poteri di coordinamento:
“Italia e Germania hanno sempre dato prova di esemplare coerenza nell'impegno a favore dell'unità e solidarietà europea. Sono fermamente convinto che anche in futuro opereranno con determinazione per rinnovare lo slancio del processo di integrazione del nostro continente, quale miglior risposta alla crisi finanziaria europea e internazionale” (Giorgio Napolitano).
Si può difendere meglio dalle aggressioni esterne:
“La lotta al terrorismo è una delle nuove missioni che l' Europa unita deve darsi. A molti di noi pare che la contrapposizione agli stragisti debba e possa essere un forte motivo unificante” (Giuliano Amato).
“Uniti, possiamo proporre un progetto politico forte, possiamo ridare fiducia a chi guarda con preoccupazione ai grandi cambiamenti del mondo d'oggi, possiamo essere artefici di una azione internazionale dal volto umano. Uniti, possiamo dare una risposta nuova alla crisi della politica e della democrazia”. (Romano Prodi)
Sa mantenere meglio l’ordine pubblico:
La guerriglia urbana nel Regno Unito e in Grecia e le azioni dei black bloc in tutta Europa sono un perfetto pretesto per fare appello al bisogno di sicurezza dei cittadini e mettere in opera un sistema ancora più capillare e centralizzato di sorveglianza.
Riduce i rischi di una guerra civile:
Merkel e Sarkozy hanno fatto balenare l’idea di una possibile guerra civile europea se l’integrazione non procederà più speditamente, tanto che i media cinesi hanno colto l’occasione per elogiare il centralismo cinese come garanzia di pace e prosperità e sicuro sostegno alle aspirazioni centralistiche europee (con amici del genere, chi ha bisogno di nemici?):
Riduce la faziosità ed i particolarismi:
“Non possiamo lasciare che gli egoismi nazionali tornino a prenderci la mano, e vedo qua e là qualche tentazione di farlo” (José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea)

Chi sono gli unionisti contemporanei, ossia le persone che stanno distruggendo il sogno europeo del dopoguerra?

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