lunedì 19 dicembre 2011

L'Universo Elettrico - un modello cosmologico



Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari
Max Planck, fisico teorico tedesco

Nell'ambito della scienza attuale, le "conclusioni generalmente accettate" vengono ordinariamente presentate come se fossero "fatti" indiscutibili. Dal Big Bang, all'evoluzione dei pianeti, dalla natura delle comete, a fenomeni altamente speculativi e misteriosi quali i buchi neri, la materia scura e l'energia scura, la grande immagine cosmologica viene presentata con una tale sicurezza che i mass media in questo paese non l'hanno quasi mai messa in discussione. Ma l'immagine può risultare assai meno chiara di quello che siamo stati indotti a credere. Completamente rimossi dai riflettori dei media scientifici, i critici hanno suggerito che un solo errore fondamentale ha finito per infettare le scienze teoriche. Questo errore è l'idea che l'universo sia elettricamente neutro – ossia che l'elettricità non abbia "niente a che fare" con lo spazio. È un'affermazione del tutto perversa, data la schiacciante importanza che l'elettricità ricopre nelle nostre vite.
Le più recenti nonchè fondamentali scoperte che sono state fatte hanno consistentemente messo in discussione le interpretazioni delle teorie convenzionali su questo punto. Allo stesso tempo, hanno incoraggiato un interesse considerevole verso un'ipotesi alternativa – ossia quella dell'Universo Elettrico.
[…]. L'ipotesi sulla "palla di neve sporca", che è stata considerata per molti decenni un vero e proprio pilastro teorico, ha fallito in maniera clamorosa nel predire il comportamento delle comete e, in tempi più recenti, non è neppure stata in grado di fornirci le giuste informazioni sulla loro composizione. Le sorprese più drammatiche hanno avuto inizio nel 1986, quando sono stati scoperti numerosi ioni carichi negativamente nel chioma della Cometa di Halley, ossia i segni di una attività energetico-elettrica, e l'assenza di una qualunque prova che indicasse la presenza di acqua nel nucleo della cometa. Negli anni seguenti, le comete hanno dato vita ad un flusso di "fenomeni misteriosi" talmente costante e regolare che gli astronomi sono stati costretti a tornarsene alle loro lavagne. Tali fenomeni comprendono:
• Getti supersonici altamente energetici che esplodono nei nuclei delle comete.
• Getti filamentosi di cometa, trattenuti a malapena, che si estendono per lunghe distanze e che rappresentano una sfida concreta all'atteso comportamento dei gas neutri nel vuoto.
• Superfici di cometa che presentano rilievi incisi in maniera precisa – l'esatto opposto di quello che gli astronomi si aspettavano seguendo il modello della “palla di neve sporca".
• Temperature inaspettatamente elevate ed emissioni di raggi x dalle chiome delle comete.
• Una riserva alquanto ridotta o la completa assenza di acqua e di altre sostanze volatili nei nuclei delle comete.
• Particelle minerali che possono formarsi solamente a temperature estremamente elevate.
• Comete che si infiammano mentre si trovano in uno stato di "congelamento profondo", oltre l'orbita di Saturno.
• Comete che si disintegrano a molti milioni di miglia dal Sole.
• Particelle di polvere di cometa divise più finemente e uniformemente di quello che ci si dovrebbe aspettare da "ghiaccio sporco" in sublimazione.
• Espulsione di particelle più grandi e di "ghiaia", un fenomeno che non era mai stato predetto se ci si rifà all'ipotesi che le comete sono risultate da nuvole primordiali di ghiaccio, gas e polvere.
• Minerali che possono essere creati solo a temperature elevate.
Tutte le scoperte appena elencate pongono enormi difficoltà al modello della "palla di neve sporca": sono tutte prevedibili caratteristiche del modello elettrico.
[…]
Secondo Wallace Thornhill e gli altri proponenti del modello dell'Universo Elettrico, la cometa elettrica è inestricabilmente legata al modello elettrico del Sole, un modello le cui implicazioni sono molto ampie: Fu il dottor Charles E. R. Bruce della Associazione per la Ricerca sull'Elettricità - Electrical Research Association - che nel 1944, in Inghilterra, mise in moto l'elaborazione di un modello scientifico sul "sole elettrico".
[…].
Anni dopo, un brillante ingegnere, Ralph Juergens, ispirato dal lavoro di Bruce, andò ad aggiungere alla sua ipotesi una possibilità rivoluzionaria. In una serie di articoli che vennero scritti a partire dal 1972, Juergens suggerì che il Sole non è un corpo elettrico isolato nello spazio, ma che giace all'interno di un più ampio campo galattico. Con questa sua ipotesi, Juergens fu il primo a compiere il salto teorico necessario per prospettare l'esistenza di una fonte di energia esterna per il Sole.
Juergens propose che il Sole è l'oggetto più positivamente carico nel sistema solare, il centro di un debole campo radiale elettrico e l'epicentro di un processo di "coronal glow discharge" ("scaricamento incandescente della corona") alimentato da correnti galattiche. Questo spiega il perché una cometa, che si muove rapidamente attraverso un campo elettrico che va rafforzandosi, nel momento in cui si avvicina al Sole, cominci a scaricarsi sotto la pressione delle tensioni elettriche.
Per evitare di fraintendere questo concetto, è essenziale che distinguiamo il complesso modello elettrodinamico che è alla base dello scaricamento incandescente del Sole da un semplice modello elettrostatico che può essere facilmente confutato.
Da un capo all'altro della maggior parte del volume di uno scaricamento incandescente della corona il plasma è "quasi" neutro, e presenta praticamente lo stesso numero di protoni e di elettroni. Una situazione del tutto simile esiste all'interno di un tubo di luce fluorescente. La corrente viene trasportata principalmente da un impulso di elettroni all'interno di un debole campo elettrico verso l'elettrodo positivo [il Sole]. È solo al di sopra della corona, in prossimità del Sole, che il campo elettrico diventa sufficientemente forte da generare tutti i fenomeni brillanti ed energetici che osserviamo sul Sole.
Nel modello elettrico, la fonte di energia esterna del Sole è la ragione per la quale la temperatura si innalza in maniera SPETTACOLARE più tende ad aumentare la distanza dalla superficie del Sole – esattamente il contrario di ciò che ci si aspetterebbe di vedere se il calore irradiasse dal cuore del Sole. Dai circa 4400 gradi K [Kelvin – unità base della temperatura nel sistema internazionale] che si registrano a 500 chilometri al di sopra della fotosfera, la temperatura si innalza costantemente fino a raggiungere i circa 20.000 gradi K in cima alla cromosfera, all'incirca 2200 chilometri al di sopra della superficie del Sole. A questo punto si verifica un aumento brusco, che eventualmente raggiunge i 2 milioni di gradi nella corona. E anche ad una maggiore distanza dal Sole, l'attività energetica di atomi ionizzati di ossigeno raggiunge la sorprendente temperatura di 200 milioni di gradi! Questa è l'ultima cosa che uno si aspetterebbe di vedere da una fornace nucleare nascosta nel nucleo del Sole. Ma è la natura osservata del processo di scaricamento della corona.
I teorici del modello elettrico sottolineano all'incirca due dozzine o più di caratteristiche del Sole che pongono dei problemi alla teoria standard, e che vanno dal "difficile" all'"impossibile" da spiegare. In ognuna delle casistiche, la caratteristica osservata segue logicamente dal modello dello scaricamento incandescente. Forse la più efficace illustrazione di questo contrasto è la questione del vento solare. Il Sole emette continuamente un flusso di particelle cariche positivamente, ma queste particelle non solo non vengono influenzate dalla forza di gravità del Sole, ma continuano ad accelerare man mano che si allontanano dal Sole. Fin dai tempi della scoperta di questo misterioso comportamento, avvenuta molti decenni fa, i teorici del Sole non hanno mai messo a punto una spiegazione che potesse reggere ad un esame accurato. Pensavano di avere trovato una spiegazione parziale quando affermarono che la radiazione solare [la luce del Sole] continuava a spingere verso l'esterno le particelle cariche. Per i teorici del modello elettrico, questa non solo era una spiegazione debole, ma mancava anche di un qualunque sostegno sperimentale, il quale dovrebbe essere la prima risorsa da cui attingere.
I teorici del modello elettrico sono, infatti, disturbati dall'incapacità del mainstream scientifico di vedere ciò che ritengono essere del tutto evidente. Tutti gli elettrotecnici sanno che esiste un modo molto semplice per accelerare le particelle cariche – lo fanno regolarmente ricorrendo ai campi elettrici. Se il Sole è un corpo carico che si trova al centro di un campo elettrico, l'accelerazione di particelle cariche da parte di questo campo è un dato di fatto.
L'esempio più irresistibile di questo principio lo si è avuto fra il 15 e il 19 gennaio del 2005, quando si verificò l'eruzione di quattro potenti bagliori solari dal "sunspot 720" ("macchia solare 720"). Quindi, il 20 gennaio, la quinta esplosione produsse un'espulsione di massa dalla corona - coronal mass ejection [CME] - a velocità che vanno ben al di là della capacità di spiegazione da parte di un qualunque modello convenzionale. Come riassunto nella Foto del Giorno su Thunderbolts, "Mentre spesso sono necessarie più di 24 ore alle particelle cariche di una esplosione solare per raggiungere la Terra, questa ha rappresentato una profonda eccezione. Solamente 30 minuti dopo l'esplosione, la Terra [che dista circa 96 milioni di miglia dal Sole] era immersa in quella che gli scienziati della NASA hanno definito "la più intensa tempesta protonica che si sia mai verificata in decenni".
È piuttosto indicativo il fatto che è quasi impossibile trovare, in tutti i tentativi mainstream di spiegare il vento solare, un qualunque cenno o memoria riguardante questo evento.
[…].
Wallace Thornhill, per esempio, suggerisce che la cometa elettrica fornisca il miglior modello per comprendere le caratteristiche della superficie dei pianeti e delle lune. Prove non riconosciute che si sono andate accumulando nel corso dell'Era Spaziale mettono in chiara evidenza che i pianeti sono corpi carichi di energia. Movimenti instabili all'interno del campo elettrico del Sole, o movimenti che portino i pianeti a incontri ravvicinati, condurrebbero ad eventi devastanti di scaricamento elettrico, e questo potrebbe indurre gli stessi pianeti ad assumere i connotati delle comete. È quindi essenziale che venga attribuita un'alta priorità ad un'aperta riconsiderazione della storia planetaria. E questa indagine deve includere la possibilità che i pianeti fossero, in epoche precedenti, immersi nel processo di scaricamento elettrico e che la loro superficie fosse percorsa da eventi elettrici ad alto contenuto energetico. In altre parole, quello che sta succedendo sulle comete attive è un indicatore diretto delle forze che agirono sui pianeti in un'epoca remota dell'evoluzione planetaria.
L'esplorazione dello spazio ha rivelato continuamente caratteristiche dei pianeti e degli altri corpi rocciosi che non possono essere spiegate ricorrendo all'ipotesi degli impatti dallo spazio e alla famigliare geologia planetaria [vulcanismo, erosione acquifera, o diffusione di superficie]. Fin da quando sono stati puntati i telescopi sulla Luna, la singola caratteristica geologica che ha maggiormente catturato l'attenzione estatica degli astronomi sono stati i crateri. Per interi decenni, la questione irrisolta fu quella di stabilire se i crateri sulla Luna si fossero formati a causa di attività vulcanica o piuttosto di un impatto esterno dallo spazio. Con il programma spaziale Apollo, gli astronomi hanno creduto che si fosse trovata una soluzione alla questione. I crateri dominanti sulla Luna erano stati creati dal violento impatto sulla superfice di oggetti celesti, questo è quanto dichiararono gli scienziati.
Questa conclusione parve tanto chiara che virtualmente nessuno si soffermò a sufficienza per notare la litania di fatti riguardanti i crateri lunari che mettono in dubbio l'intera ipotesi. Una volta che si affermò il modello dell'impatto dallo spazio, gli astronomi e i geologi cercarono di replicare in forma sperimentale gli schemi davvero unici riguardanti la formazione dei crateri sulla Luna e in ogni altra parte nel sistema solare. In certe occasioni, la pubblicazione di notizie decretò i “successi” di tali esperimenti, ma ad un livello più fondamentale e scientifico, dove i modelli dettagliati dei crateri lunari richiedevano una conferma in forma sperimentale, gli esperimenti si rivelarono essere un totale fallimento. Le caratteristiche dei crateri che hanno origine dagli impatti ad alta velocità non corrispondono alle caratteristiche dei crateri lunari. Né corrispondono alle caratteristiche dei crateri la cui presenza osserviamo in tale abbondanza sulla superficie di Marte o sulle Lune di Giove e di Saturno e di tutti gli altri corpi rocciosi che sono presenti nel sistema solare. Questo fallimento da parte degli esperimenti condotti per testare l'ipotesi dell'impatto dallo spazio, comunque, non pare che sia stato fatto oggetto di alcuna pubblicazione di notizie.
Le anomalie comprendono [tanto per citarne solo alcune]:
• La rimarchevole circolarità di quasi tutti i crateri di tutte le forme. Impatti obliqui dovrebbero invece dar vita a numerosi crateri ovali;
• La mancanza di quel danno collaterale che ci si dovrebbe attendere se la circolarità del cratere fosse dovuta ad un'esplosione avvenuta in prossimità del terreno, come nel caso di una detonazione termonucleare;
• Le superfici dei crateri appaiono essere piane e disciolte invece di essere costituite da uno scavo a forma di piatto causato dall'esplosione dell'impatto. Gli impatti e le esplosioni ad alto contenuto energetico – comprese le bombe atomiche – non causano lo scioglimento di materiale che sia sufficiente per creare superfici piane.
• Molti crateri sono caraterizzati da pareti ripide piuttosto che presentarsi nella forma di un piatto di scarsa profondità, una conformazione che ci si aspetta dall'esplosione causata da un impatto supersonico;
• L'inaspettata formazione di terrazze sulle pareti dei crateri più grandi, con la presenza di superfici disciolte per alcune di queste terrazze;
• Un gran numero di crateri secondari concentrati sui bordi dei crateri più grandi;
• L'assenza di crateri più grandi che attraversano i crateri più piccoli;
• Catene intricate di piccoli crateri lungo il bordo di crateri più grandi;
• Un numero estremamente eccessivo di crateri accoppiati e di catene di crateri;
• Dispersione minimale quando un cratere si inserisce dentro un altro;
• Ripetute e altamente “improbabili” associazioni di crateri che sono contigue a buche e strette vallate incise in maniera pulita, dalle quali il materiale è semplicemente scomparso;
• Raggi di “ejecta” [particelle emesse durante la formazione di un cratere] tangenziali al bordo del cratere;
• Anelli concentrici.
Invece di prendere in considerazione questi sfidanti, gli scienziati planetari hanno smesso di porsi le domande più importanti. Per la verità, devono ancora considerare un fatto di straordinaria importanza per il futuro della scienza planetaria: tutti i modelli riguardanti la formazione dei crateri primari nel sistema solare possono essere riprodotti attraverso lo scaricamento elettrico in laboratorio. Lo stesso non può dirsi di qualunque altro agente causale che è stato esplorato nel corso dell'era spaziale.
Il nostro vicino, Marte, il pianeta più studiato nel sistema solare [al di fuori della Terra] offre esempi quasi illimitati. La superficie di Marte rivela la prova evidente di quella che è una violenta cicatrice elettrica.
Lo stupendo abisso Valles Marineris si dispiega per più di 3000 miglia – l'equivalente di centinaia di Grand Canyon. Agli inizi degli anni 70, l'ingegnere Ralph Juergens ha ipotizzato che in un'età precedente descritta da un'elevata instabilità planetaria, gli archi elettrici fra corpi celesti carichi furono responsabili della creazione di molte delle caratteristiche che sono presenti su Marte. Nel 1974, Juergens scrisse a proposito del Valles Marineris:
“Quello che questa regione maggiormente ricorda è un'area percorsa da un potente arco elettrico che avanza in maniera non regolare lungo la superficie, scindendosi occasionalmente in due parti, e che si indebolisce di tanto in tanto, così che le sue tracce si restringono e degradano anche in linee di crateri disconnessi.”
Più recentemente, Wallace Thornhill ha sostenuto che l'intera regione del Valles Marineris ha la stessa morfologia del più grande fenomeno di scaricamento elettrico dell'universo – la galassia a spirale barrata. [Foto 1- Si veda Galassie a Spirale e Grand Canyon]
All'inizio, gli scienziati planetari hanno speculato che era stata l'erosione dell'acqua l'agente che aveva reso possibile la creazione del Valles Marineris, ma questa teoria è stata confutata ricorrendo ad immagini a risoluzione più alta. Adesso, alcuni sostengono l'ipotesi di una diffusione di superficie e della relativa formazione di fenditure. Ma dopo aver condotto un esame più scrupoloso, non è possibile provare che si sia mai verificata alcuna diffusione di superficie.
E quindi che cosa è successo a tutto il materiale “mancante”? Seguendo l'ipotesi del modello elettrico, questo venne scavato in maniera esplosiva da un processo chiamato electric discharge machining [EDM]. E i residui risultanti non vennero solamente sparsi per tutta la superficie di Marte ma la maggior parte di esso venne accelerato elettricamente nello spazio. Dalla posizione di vantaggio nella quale ci troviamo, non è una coincidenza che ancora oggi le meteoriti di Marte stiano cadendo sulla Terra.
[…].
Per i proponenti del modello dell'Universo Elettrico, la prova geologica delle cicatrici elettriche che sono presenti sui pianeti e sugli altri corpi rocciosi è una dimostrazione irresistibile della violenza planetaria e dell'instabilità che prevalsero nel passato. L'ipotesi di un sistema solare instabile, nel recente passato venne portata avanti da Immanuel Velikovsky nel suo bestseller del 1950, “Mondi in Collisione".
Anche se Velikovsky venne sommariamente accantonato dal maintream scientifico, l'Era Spaziale ha fatto di più per sostenere Velikovsky piuttosto che confutarlo!
Mentre i proponenti dell'Universo Elettrico Wal Thornhill e i suoi colleghi riconoscono che Velikovsky si è sbagliato su molti punti, sono però d'accordo con lui nel sostenere che l'elettromagnetismo è stato l'elemento chiave di una precedente epoca di catastrofe planetaria. E oggi, le prove sono diventate schiaccianti che viviamo in un sistema solare che è “collegato elettricamente”.
Nel caso di Giove, vediamo all'opera questa connettività elettrica nella relazione che intercorre fra il pianeta stesso e la sua luna più vicina, Io. Nel 1979, l'astrofisico Cornell Thomas Gold propose nella rivista Science che i “vulcani” di Io fossero in realtà masse scariche di plasma liquefatto - plasma discharge plumes. L'ipotesi di Gold venne confutata sulla stessa rivista da Gene Shoemaker, et al. Ma nel 1987, i fisici del plasma Alex Dessler e Anthony Peratt sostennero l'interpretazione di Gold in un articolo pubblicato nella rivista Astrofisica e Scienza Spaziale - Astrophysics and Space Science. Dessler e Perat sostennero che sia la penombra filamentosa che la convergenza di ejecta in anelli ben definiti sono effetti dello scaricamento del plasma che non hanno equivalenti nei vulcani.
Successivamente, la sonda Galileo registrò immagini incredibili dei “vulcani” e scoprì precisamente quello che era stato predetto dal teorico del modello elettrico Thornhill: Temperature così alte che saturarono le telecamere; il MOVIMENTO dei “vulcani” lungo la superficie di Io; e il posizionamento dei “vulcani” lungo le scogliere di valli precedentemente scavate. È adesso indisputabile che la base del “rifiuto” di Shoemaker dell'ipotesi di Gold era sbagliata.
[…]
Dal più largo circuito della Via Lattea, le correnti fluiscono nel dominio del Sole. A distanze planetarie dal Sole, il campo è debole e insignificante. Ma come la corrente “comincia a mordere” nel suo avvicinarsi al Sole, e più la potenza elettrica diventa sufficiente ad illuminare il Sole. Una cometa trascorre la maggior parte del suo tempo nella parte più debole del campo, lontana dal Sole, ed è possibile che bilanci il proprio voltaggio con quel campo. Ma come la cometa tende ad accelerare più si avvicina al Sole, e più tende a crescere in maniera profonda il suo sbilanciamento con l'ambiente circostante e comincia quindi a scaricarsi. Gli astronomi sono stati incapaci di notare tali osservazioni fondamentali per una ragione che nessuno vuole ammettere: sono impreparati in maniera imbarazzante in tutto ciò che riguarda l'elettrodinamica. Questo spiega perché gli elettrotecnici hanno un enorme vantaggio nella comprensione delle attività elettriche nello spazio. Un saldatore potrebbe capire più facilmente le valli e i crateri su superfici solide di un qualunque scienziato planetario. Ma piuttosto che espandere la loro conoscenza fino ad includere l'elettricità, gli astronomi e i cosmologi hanno invece contratto le scienze spaziali ad un campo limitato di teorie “eleganti” [ossia pretenziose o irrilevanti].

Versione originale

Michael Goodspeed
Fonte: http://www.thunderbolts.info
Link: http://www.thunderbolts.info/webnews/new_cosmology.htm

Versione italiana

Fonte: http://www.radiokcentrale.it/
Link: http://www.radiokcentrale.it/articolinuovaera/itapiece184.htm
http://www.radiokcentrale.it/articolinuovaera/itapiece184part2.htm
http://www.radiokcentrale.it/articolinuovaera/itapiece184part3.htm

Traduzione di questo complesso ma anche alquanto “elettri....zzante” articolo a cura di Melektro per www.radioforpeace.info – Per commenti: info@radiokcentrale.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

http://www.mednat.org/new_scienza/Universo_elettrico_la-prova-numerica.pdf